Pietro Gatti il Poeta di Ceglie Messapica.

…e della sua terra rossa

Archivi per il mese di “giugno, 2015”

inutile nostalgia

Troppo spesso i discorsi degli adulti iniziano con “ai miei tempi”; sembra che vogliano trasmettere la loro esperienza invece quasi sempre è solo inutile nostalgia.

Quann’er na vota
Mi ni scev for,
Bastav pi mi fa batt ‘u cor.
Quann chiuvev stav a lot,
Ne fascev niend,
Pur ca battevn li diend,
Rumanev cuntend.
Ma mu ca shtoc lundan,
Pur ca batt li man,
Figghjm, ne ni voln sapn.
Lor ce ni pon sapi’,
Com mi send ji?
Sin u dic a lor: Quant i bell Cegghje!
Ma a qua lor si sentn megghje.

di Giacomo Nigro

Ceglie Messapica e la sua campagna

Sonde de terre le penziere mije (Sono di terra i miei pensieri)

Seminario Pietro Gatti fronte

A terra meje (1976) è lo spazio dell’intelligenza e del cuore: il luogo dei continui ritorni, scanditi nel tempo, su cui il poeta riversa l’ansia di parlare con la terra, approfondendo la sua indagine che sembra ininterrotta e affinando lo stile, che diviene la filigrana del suo pensare. Descrive una modalità dell’esistenza che non permette consolazioni, né soluzioni perché batte un terreno inevitabile, in cui la sua fantasia di poeta ritrova l’ossessione di certe figure e sfondi. Le forme della realtà descritte si configurano attraverso una scrittura melodica, che risalta in particolare nella sua struggente predilezione “per gli umili, gli indifesi, i deboli” il cui dolore è da Pietro Gatti introiettato. Il poeta è stato coerente con la sua scelta ideologica di rifiuto totale dell’ingiustizia e dell’arroganza del mondo e la figlia dirà: “Mio padre ha sempre improntato la sua vita a due valori fondamentali: il rifiuto dell’ingiustizia e il rispetto incondizionato verso gli altri, chiunque fossero e comunque la pensassero. Soprattutto gli umili, gli indifesi, i deboli (quelli poi saranno le sue creature poetiche) catturavano la sua attenzione e a loro offriva spontaneamente aiuto durante il suo lavoro e fuori dal lavoro”. E per fare questo si serve di un parlare “musicale” che si nutre del linguaggio parlato, del ritmo naturale del dialetto che attraversa tutta la composizione poetica. I bordi acustici e sonori della parola e dell’intero verso sono impastati dal poeta diluendosi nell’idea e nella qualità semantica della parola. Sonde de terre le penziere mije: /de terre ca do trònete ‘nzeddechèschene /a porva porve (Sono di terra i pensieri miei: di terra che due tuoni sprizzano la sola polvere). “ Il poeta estrae dalla terra la forza necessaria per parlare al mondo, utilizza quella terra costituita da un viluppo di radici e anime per comunicare la mestizia e la sottesa malinconia che impregna gli abitanti di quello spazio di mondo”. Questa terra è il palcoscenico che ospita lo snodarsi della vita dei protagonisti: un universo di fisicità, di rapporti carnali, di dolori e disillusioni, senza mai uno smottamento della sfera affettiva o un cedere ad un cenno di emozioni che sembrano anche loro perseguitate dall’essere pezzenti. E allora il poeta dice: I ssapene de terre le parole mije pure (E sanno di terra le parole mie pure)”. Maria Antonietta Epifani, ‘Va’, poesia, e la mia gente trova’, Tra i luoghi della memoria di Pietro Gatti, in Pietro Gatti e la modernità poetica, Edipan 2014, pp. 91 – 92.

A terra meje (La mia terra) vien pubblicato nel maggio 1976 dalla Grafischena di Fasano di Puglia

(fonte)

Vedi anche:

“Casa meje ete pròpie ca ccumenze”

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